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La mobilitazione a soccorso dei sopravvissuti fu generale e richiamò sul luogo, già dopo le prime ore dall'accaduto, migliaia di persone dalle più diverse estrazioni sociali. A loro va riconosciuto il merito di aver compiuto un'opera umana incalcolabile nei confronti dei |
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sopravvissuti e sarebbe quasi retorico continuare nella elencazione delle virtù profuse. In primo luogo il btg. "Cadore" del 7° Alpini, in distaccamento a Pieve di Cadore dalla sede reggimentale di Belluno.
Distante 24 chilometri da Longarone, il btg., ricevuto l'allarme poco dopo le ore 23, fu sul posto alle ore 0,15. L'opera svolta interessò dapprima la zona settentrionale del paese, dove v'erano ancora vivi da salvare e sopravvissuti da assistere e rincuorare. Neanche due ore dopo, da Belluno, giunse una colonna del Btg. "Belluno", anch'essa del 7° Alpini, che si aggiungerà al lavoro dei primi soccorritori. Vennero avvisati anche il IV e V Corpo d'Armata, il Comando Truppe Carnia e il C.do della S.E.T.A.F. di Vicenza, con l'intervento di mezzi meccanici quali anfibi, apripista, pale meccaniche escavatrici, materiali da ponte, trattori automezzi speciali, gruppi elettrogeni, fotoelettriche, autocarri, autoambulanze, materiali sanitari, autobotti, cucine da campo, tende, viveri, generi di conforto. Il comando delle operazioni venne assunto dal Comandante del IV Corpo d'Armata, Gen. Carlo Ciglieri. Gli interventi si protrassero fino al 21 dicembre. In tutto, tra ufficiali, sottufficiali e militari di truppa il personale ammontò ad oltre 10.000 unità. Anche i Vigili del Fuoco diedero un contributo importante. Oltre 850 unità, dotati di 3 elicotteri e 271 mezzi meccanici (tra cui barche, autogrù e pale meccaniche), intervennero portando soccorso ed assistenza, riattivando opere ed impianti, rimuovendo pericoli incombenti come ad esempio il recupero quasi totale di cianuro di potassio e sodio disperso lungo l'alveo del Piave. Rilevante fu anche il salvataggio di 73 persone ed il recupero di 1.243 salme. A stretto contatto con le truppe alpine operarono anche i Carabinieri, con l'impiego di tutti gli automotomezzi disponibili, che oltre a svolgere compiti di soccorso ed assistenza, prestarono anche servizi di carattere istituzionale, vigilando sulle operazioni di recupero delle salme, e di ogni oggetto e valore che potesse essere sottratto da elementi estranei all'opera di soccorso. L'inventario relativo a denaro liquido, assegni, casseforti, titoli e preziosi, è stato ingente. Importante fu anche il segnalamento fotografico delle vittime, che ha portato al riconoscimento di più della metà dei 1.572 morti recuperati. La Polizia Stradale mobilitò tutta la forza disponibile (circa 50 persone su un totale effettivo di 70), disponendo posti di viabilità e blocchi stradali nei punti necessari per consentire il libero afflusso dei mezzi di soccorso, organizzando anche squadre di soccorso per portare aiuto ai pochi superstiti. La Sanità Provinciale mise in stato di allarme gli ospedali di Belluno, Feltre, Agordo, le Case di Cura di Auronzo e Pieve di Cadore. I medici furono chiamati in servizio e gli ospedali erano già pronti ad accogliere i feriti.
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Il mare dei soccorritori ( foto Zanfron) |
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Il recupero di una salma ( foto Zanfron) |
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Altri Enti ed Associazioni che contribuirono con significativi interventi, successivi alla data del 9 ottobre 1963 furono la Croce Rossa Italiana, con una costante opera di soccorso, ristoro e conforto; il Servizio Veterinario Italiano, con un resoconto dettagliato della situazione zootecnica; mons. Gioacchino Muccin, vescovo delle zone colpite, le visitò per pregare in suffragio delle vittime e per portare soccorso ai superstiti di persona e attraverso la Pontificia Opera di Assistenza, espressione della carità del Papa; la Parrocchia di Longarone, benché fosse stata una delle istituzioni più danneggiate con la perdita dei due sacerdoti; il Genio Civile di Belluno che si occupò delle provvisorie opere stradali, igieniche ed idrauliche, nonché del coordinamento dello sgombero delle macerie. L'intervento di soccorso più urgente, dopo il salvataggio dei pochi rimasti in vita, fu riservato proprio al recupero delle salme, che vennero composte nei cimiteri della zona da Pieve di Cadore a Belluno e oltre, lungo il Piave. Giovedì 10 ottobre 1963 si decise la realizzazione del cimitero delle vittime; il giorno dopo venne individuata l'area tra i campi di granoturco davanti al piccolo cimitero di Fortogna nel comune di Longarone; il sabato 12, alle ore 18, fu benedetto lo spazio sacro e la domenica 13 iniziarono le inumazioni. Le salme arrivavano dai vari camposanti, composte nelle bare. Il lento corteo degli automezzi, anche pesanti, che le trasportavano formava una fila interminabile. Prima della sepoltura erano disposte in ordine sul terreno per una pulizia dei corpi esangui, molti dei quali erano mutilati, e per quel trattamento legale, che garantisse una conservazione più lunga possibile per consentire a parenti e superstiti il riconoscimento. Intanto si scavavano delle enormi fosse dove venivano poi allineate le bare, dopo che un sacerdote le aveva benedette una ad una. Ogni vittima riceveva quindi il suo funerale religioso, anche quelle che non avevano ancora un nome. Un quarto delle vittime non ha avuto la sepoltura nel cimitero di Fortogna, perché molte salme non sono mai state ritrovate oppure perché i parenti hanno disposto di trasportare i corpi dei loro cari, dopo averli riconosciuti, in un altro camposanto. Tutti questi interventi non furono certamente gli unici, anche perché negli anni, gli sforzi dediti alla ricostruzione delle aree colpite, fu intensificato e vi parteciparono più o meno tutti gli Enti e le Associazioni presenti sul territorio. Certamente la gratitudine da parte delle popolazioni colpite dall'immane sciagura è rivolta proprio a costoro e a quanti profusero sforzi immani, senza chiedere nulla in cambio, i cui nomi non vennero neanche citati, coperti dalla discrezione tipica delle nostre genti di montagna. |
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