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L'ing. C. Semenza, preoccupato dagli eventi succedutesi dopo la frana del novembre 1960, ordinò uno studio che portasse alla determinazione degli effetti della frana sul circondario. Si trattava di riprodurre in scala adeguatamente ridotta le valli del Vajont e del Piave per un tratto interessato di diversi chilometri. Il modello poteva quindi essere di dimensione enormi (lungo fino a quaranta metri) e non facilmente riproducibile senza sollevare interessamento dell'opinione pubblica. Il tutto doveva
quindi essere fatto con il massimo riserbo nei riguardi delle fonti di informazione per evitare strumentalizzazioni tecniche o politiche di quanto si andava sperimentando. Il compito venne affidato all'Istituto di Idraulica e Costruzioni Idrauliche dell'Università di Padova. I proff. Ghetti e Marzolo, docenti universitari, sotto il finanziamento e il controllo dell'ufficio studi della società SADE, operarono al Centro Modelli Idraulici (C.I.M.) di Nove di Vittorio Veneto, considerato luogo ideale per il fatto di essere un po' fuori dalle grandi arterie di comunicazione. In una prima riunione si decise di approfondire i seguenti effetti: 1) Azioni dinamiche sulla diga. 2) Effetti d'onda nel serbatoio ed eventuali pericoli per le località vicine, con particolare attenzione al paese di Erto. 3) Ipotesi di una parziale rottura della diga e conseguente esame dell'onda di rotta e della sua propagazione lungo l'ultimo tratto del Vajont e lungo il Piave, fino a Soverzene ed oltre. Lo studio del punto 1 venne comunque eseguito in un laboratorio di Bergamo, mentre per gli altri fu costruito un modello in scala 1:200. Tale modello però si presentò alquanto approssimativo nelle sue fattezze. Non comparivano né i paesi rivieraschi del comune di Erto e Casso; addirittura la montagna di destra venne ricostruita fino a quota 750 m., appena una trentina di metri al di sopra del livello di massimo invaso, avvalorando di fatto l'ipotesi che l'onda non potesse interessare quote superiori. Per il materiale usato, dopo un primo fallimentare uso della sabbia che si impastava facilmente arrestandosi durante lo scorrimento a valle, si scelse la ghiaia, ingabbiata in reti di canapa mosse da un trattore.
Il volume riprodotto in scala risultò essere relativo a circa 40 milioni di metri cubi reali (circa 1/6 della frana effettiva), ma non tutta la massa venne fatta cadere: né alla presenza del presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, in |
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visita al laboratorio, né durante le prove successive, basate sempre su empiriche considerazioni di ordine teorico. La relazione che accompagnò gli esperimenti non venne mai inoltrata alla Commissione di Collaudo e agli organi di controllo. L'unico risultato prodotto fu di rassicurare la SADE sulla possibilità che l'invaso, alla quota di 700 m., non aveva nulla da temere dalla previsione più catastrofica. |
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